PORTARE LA CROCE "DI" CRISTO - Fra identità personale e continuità. La prima omelia di Leone XIV
«You have called me to carry that cross, and to be blessed with that mission. [Mi avete chiamato a portare questa croce, e a essere benedetto con questa missione].
[...] Sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa».
Le parole con cui Leone XIV ha dato inizio e fine alla sua prima omelia da Papa, nella Messa presieduta in Sistina col Collegio Cardinalizio, fanno da cornice al concetto riassumibile nel triplice compito di ogni presbitero: governare, insegnare, santificare, per portare tutti a quel Cristo che «è Figlio del Dio vivente, cioè l’unico Salvatore e il rivelatore del volto del Padre». Per camminare insieme verso quel «destino eterno che supera ogni nostro limite e capacità».
Tutto questo, dice papa Prevost, fra le righe e nelle righe, consapevole di essere chiamato ad essere «fedele amministratore» del tesoro a lui affidato «a favore di tutto il Corpo mistico della Chiesa», per far luce, non attraverso la magnificenza di istituzioni, ma «la santità dei suoi membri».
Da qui la necessità di guardarsi dall'insidia di interpretare Gesù solo secondo criteri mondani o comuni (personali, si potrebbe dire): guardarlo con «curiosità» e poi respingerlo, perchè pericoloso nel suo richiamo all'«onestà» e alle «esigenze morali», o seguirlo finché questo non comporti «rischi e inconvenienti», come la Passione.
Un programma che richiama all'impegno serio ogni credente, nella consapevolezza che il Cristo non è un «superuomo» o un «leader carismatico»: la fede gioiosa in lui esige l'«impegno di un quotidiano cammino di conversione». Vale per il singolo, vale per la Chiesa, vale per il Papa. Lo stesso Leone XIV lo asserisce, avviandosi alla conclusione dell'omelia.
Un testo denso, quello che ieri il nuovo Pontefice ci ha consegnato, e carico di echi ratzingeriani, che ci rimandano alla dimensione martiriologica del ministero petrino; al relativismo religioso e al rischio della religione fai-da-te; all'ateismo di fatto; infine un riferimento anche alla gioia, che pur citata menzionando papa Francesco, molto connotò già prima il magistero di Benedetto XVI.
Lungi da noi voler però fare di Leone XIV la copia di altri: si tratta del successore di Pietro, non di Ratzinger o di Bergoglio.
Proprio per questo, al di là dei giochi fotografici – e non solo – di questi giorni, per "trovare le somiglianze" o "le differenze", ci piacerebbe invece lasciare che Leone sia Leone, pur apprezzandone le qualità che, probabilmente, ce lo faranno trovare in sintonia, pur nella loro sfaccettatura, tanto con un predecessore quanto con l'altro. Purché rimaniamo sicuri di una cosa: non abbiamo bisogno di papi-fotocopie, ma di papi unici, veri e santi, che sappiano vivere in pienezza quella specificità di carisma che il Signore ha donato loro. Per il bene della Chiesa intera.
Come quando nasce un bambino: "Ha gli occhi di…, il naso di..., la bocca di...".
RispondiEliminaIl bisogno di sentirlo "nostro", della nostra famiglia, che qualcosa di noi persegue e continua nel tempo.
Ma sono più rassicurazioni per noi, che felice accettazione del nuovo che sboccia.
Così per il Papa. Lasciamolo essere se stesso, in maniera originale, perché se anche avrà il naso di… o userà la stessa parola di… sarà tuttavia sempre soprattutto una persona con un cervello e un cuore suo proprio, con esperienze e vissuti e sentimenti diversi rispetto a chiunque altro.
Vediamo dunque che "peso" (personale, esistenziale, ministeriale…) avrà Prevost stesso (peraltro molto piacevoli e promettenti), lasciando perdere somiglianze e differenze con tutti gli altri: lo sguardo sul tutto, non sulla piccola parte (che va bene solo per il nostro piccolo occhio o la nostra piccola mente).
Grazie al nostro blogger che ce lo ricorda!